Nell’immaginario collettivo le persone con una disabilità visiva hanno come loro punto di forza il linguaggio: spesso ci immaginiamo i non vedenti come persone dal linguaggio forbito, ricco e con grandi capacità dialogiche. In moltissimi casi questa rappresentazione corrisponde alla realtà: il linguaggio risulta uno degli strumenti più funzionali ed efficaci per compensare le esperienze e ottenere informazioni difficili o quasi impossibili da ottenere in altro modo.
Per molti bambini con disabilità visiva, però, arrivare a una tale padronanza del linguaggio richiede sforzi ed energie che spesso vengono dati per scontati. Lo sviluppo del linguaggio nel bambino con disabilità visiva – cecità o ipovisione grave – non segue le tradizionali tappe dello sviluppo linguistico degli altri bambini; questa differenza si riscontra già dal primo anno di vita ed è importante saperlo per poter intervenire, facilitando il processo di acquisizione a partire dai prerequisiti linguistici.
Dopo il primo anno di vita generalmente il bambino con disabilità visiva presenta un certo ritardo nella produzione linguistica, dovuto alla difficoltà che incontra a stabilire un dialogo preverbale e quindi un referente comune con la persona alla quale è diretta la comunicazione (Hatwell, 2003).
Emerge una chiara continuità tra comunicazione preverbale e verbale: la prima è precursore necessario allo sviluppo dell’uso intenzionale del linguaggio. Infatti tra i 6 e i 12 mesi di vita i bambini iniziano a sviluppare delle abilità non linguistiche che possono però essere considerate a tutti gli effetti dei prerequisiti per il linguaggio.
Senza addentrarci nelle teorie sullo sviluppo del linguaggio, possiamo provare a confrontare lo sviluppo del linguaggio – e soprattutto dei prerequisiti linguistici – di un bambino normovedente rispetto a quello del bambino con disabilità visiva.
L’attenzione condivisa
La prima abilità che possiamo considerare come prerequisito nello sviluppo del linguaggio è l’attenzione condivisa: la condivisione dell’attenzione tra due individui e un terzo oggetto. L’attenzione condivisa permette al bambino di condividere l’interesse per un determinato oggetto con un’altra persona e la sua valenza linguistica sta nell’esprimere un’indicazione dichiarativa diventando così il motore per il successivo sviluppo del vocabolario.
L’attenzione condivisa richiede numerosi movimenti e abilità di tipo visivo che devono essere ben consolidati nel bambino. In particolare devono essere presenti:
- movimenti saccadici associati al movimento del capo, per riuscire a orientare il proprio sguardo;
- aggancio visivo;
- capacità di mantenere la fissazione dello sguardo.
È facile intuire che sviluppare questo tipo di attenzione richieda molto lavoro e allenamento da parte del bambino ipovedente; servono stimoli specifici e sostegno da parte dei caregivers e dall’équipe riabilitativa da cui è preso in carico.
Per i bambini con cecità questo discorso va ad aggravarsi: l’attenzione condivisa non potrà passare tramite il canale visivo, ma dovrà fare affidamento ai sensi vicarianti, che nell’uomo si sviluppano fisiologicamente con qualche mese di ritardo rispetto alla vista. Questo li rende meno efficaci ed efficienti nel conoscere il mondo nei primi mesi di vita. La cecità priva di molte opportunità di contatto oculare, che caratterizzano lo sviluppo della relazione tra i bambini vedenti e le persone che si prendono cura di loro (Perez-Pereira, Conti-Ramsden, 2002). Da questo deriva quindi un ritardo nell’acquisizione dell’attenzione condivisa, prerequisito fondamentale nello sviluppo del linguaggio.
Associare suoni, gesti e significati
Un’altra abilità considerata precursore dello sviluppo del linguaggio è quella di associare suoni, gesti e significati. La valenza linguistica di questa abilità risiede nel creare una relazione tra lo sviluppo fonologico e quello lessicale, oltre che tra comunicazione gestuale e vocale.
Questo significa che il bambino inizia pian piano ad associare ciò che ascolta a ciò che vede accadere su se stesso e intorno a lui: associare una parola, che per lui è semplicemente un suono, a un’attività particolarmente gradita e di cui ha fatto esperienza molteplici volte, esperienza che passa in modo preponderante dal canale visivo.
Creare un’associazione tra un suono ascoltato e un gesto – dando così a questo suono un significato semantico costante – è un processo che richiede tempo. I tempi si allungano se l’immagine appare sfuocata e non definita; i tempi si dilatano ulteriormente se non si può passare dal canale visivo, ma solo dal tatto o dall’udito.
L’imitazione
Un’altra abilità non linguistica fondamentale per lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione è l’imitazione: questa permette al bambino di imparare sequenze complesse di comportamenti dall’adulto.
Per il bambino imitare dei gesti legati a routine sociali permette il futuro sviluppo di gesti rappresentativi: salutare con la mano, portare l’indice alla guancia e ruotarlo per dire che una cosa è buona, oscillare il dito indice per dire no. I gesti rappresentativi sono quei gesti che comportano l’uso di movimenti convenzionali delle mani, del corpo e del viso associati stabilmente a un significato.
Nei bambini con ipovisione imitare diventa difficoltoso, perché guardare l’altro e le azioni che fa non è sempre immediato e spesso si perdono dei particolari importanti. Inoltre, maggiore è la compromissione visiva e più la sfera d’interesse sarà ridotta.
Per un bambino non vedente imitare un comportamento dell’adulto e pertanto riprodurre e far propri dei movimenti che non può vedere non è possibile.
In conclusione possiamo affermare che tra le cause del ritardo dello sviluppo del linguaggio e della comunicazione in un bambino con disabilità visiva c’è sicuramente la difficoltà di sviluppare alcune fondamentali abilità: l’attenzione condivisa, l’associazione di suoni, gesti e significati e l’imitazione, che sono strettamente legate al canale visivo e rappresentano prerequisiti fondamentali per lo sviluppo del canale verbale.
Bibliografia
Camaioni, Di Blasio, Psicologia dello sviluppo (2013)
Celani, Il bambino non vedente: la famiglia, lo sviluppo, l’integrazione scolastica (2004)
Hatwell, Psychologie cognitive de la cécité précoce (2003)
Perez-Pereira, Conti-Ramsden, Sviluppo del linguaggio e dell’interazione sociale nei bambini ciechi (2002)
Pinelli, Bonfigliuoli, Disabilità visiva. Teoria e pratica nell’educazione per alunni non vedenti e ipovedenti (2010)
Sabbadini, De Cagno, Michelazzo, Vaquer, Il disordine fonologico nel bambino con disturbi del linguaggio (2000)